Ricucire fili strappati per riemergere alla vita

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All’interno delle manifestazioni ” Non è il destino” per la giornata contro la violenza sulle donne-


Quanti strappi può sopportare una tela, prima di essere ricucita o distrutta?

Quante violenze può sopportare una donna, prima di curarsi/essere curata o esserne distrutta?

Oltre alla violenza fisica e a quella economica esiste quella più subdola e meno riconosciuta, ma non per questo meno pericolosa: la violenza psicologica che è caratterizzata da una serie di azioni che l’abusante utilizza per controllare e dominare la sua partner, instillando in lei paura, minandone l’autostima alla base, compromettendone la percezione stessa della propria identità.

Il carattere continuativo della violenza psicologica agita da un partner all’interno di una relazione può portare la vittima a sentirsi sempre più inadeguata, colpevole, incapace.

Le conseguenze si ripercuotono su tutta la società, rendendola più povera da ogni punto di vista, economico, politico e culturale in quanto viene limitato il ruolo che le donne svolgono attivamente nello sviluppo della società.

Pensiamo poi alla violenza sui minori sia diretta che assistita, ai danni che questa provoca, a come cresceranno questi bambini traumatizzati che credono che la violenza familiare sia la normalità della vita perché questo è l’ambiente in cui sono vissuti.

La violenza non termina i suoi effetti con la punizione del soggetto violento, ma necessita di interventi di sostegno alle vittime che si trovano a “ricucire i fili strappati”. Le donne vittime di violenza non devono sentirsi sole, non si devono vergognare, vanno ascoltate ed accompagnate.

Le relatrici e gli ospiti

Questi strappi, queste ferite, però possono essere previsti e riconosciuti in tempo, e comunque possono e devono essere curati.

Come riconoscerli, come curarli?

Ci aiuteranno a capirlo, a parlarne insieme, a individuare strumenti per “ricucire i fili strappati” e riemergere quindi alla vita , Paola Taufer, psicologa e presidente della commissione Pari opportunità della Provincia Autonoma di Trento e Annelise Filz , Avvocata e già consigliera di pari opportunità.

I loro interventi verteranno sugli aspetti psicologici e quelli legali, per tutelare anche coloro che rimangono dopo la violenza, i figli, le figlie, che purtroppo assistono o rimangono soli nelle violenze estreme.

Abbiamo invitato per questo l’associazione “I dolci sapori del bosco odv” creata dai familiari in memoria di Viviana Micheluzzi, uccisa dal marito, poi suicida, il 29 marzo di quest’anno. Sopravvivono loro i 3 figli.

Il dolci sapori del bosco” ha preso il nome dall’azienda di Viviana, che era un’ apicoltrice ed è un’associazione di volontariato nata a Bolzano, apartitica e aconfessionale, che fonda la propria attività istituzionale ed associativa sui principi costituzionali della democrazia e della partecipazione sociale, e sull’attività di volontariato, con la finalità principale di contrastare il fenomeno del Femminicidio. Cliccando sul loro logo sarete indirizzati direttamente al sito.

Saranno presenti all’evento anche gli amici del coro “Il mio canto libero” dell’ associazione UniAmoci che ha contribuito a far riunire appassionati del canto da Riva del Garda a Mezzocorona passando per Trento. Persone con esperienze diverse, ma tutte desiderose di trasmettere passione e bellezza negli ascoltatori. Il repertorio che eseguono è popolare ed adatto a tutti quelli che desiderino trovare nel canto una connessione con l’energia positiva.

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Psicologa e psicoterapeuta, la dottoressa Paola Taufer divide la sua professione fra Trento e Milano. Principalmente il suo lavoro si svolge attraverso incontri in presenza ma anche a distanza, via Skype o in altra forma di collegamento online, con singoli o in gruppo ed utilizzando quando opportuno anche brevi terapie psicodinamiche. Il campo d’azione abbraccia adolescenti e adulti, affrontando problematiche di vita stressanti, da quelle più note a quelle meno comuni o di più recente individuazione, con un approfondimento sulla tematica di grande attualità dell’invecchiamento. Proprio in virtù di questo studio ha fondato SIPAA, Società Italiana Psicologia Adulto Anziano. E’ presidente della Commissione Pari Opportunità (CPO) della Provincia Autonoma di Trento.

Annelise Filz è avvocata, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Trento e all’albo dei Cassazionisti, specializzata in Diritto di Famiglia, dei Minori e delle Persone, collabora da anni con i consultori del territorio, con centri di mediazione familiare e con l’Associazione Alzheimer. Partecipa in qualità di relatore a numerosi convegni ed è coautrice di diverse pubblicazioni. Negli anni ha ricoperto l’incarico di vice procuratore onorario presso il Tribunale di Trento, di Consigliera di Parità per la Provincia Autonoma di Trento, di Presidente della Commissione Provinciale pari opportunità tra uomo e donna.

Ecco cosa ci ha scritto Annelise Filz relativamente al suo intervento e ci fa piacere condividerlo per intero.

“In gran parte dei casi di violenza subita da una donna o una bambina ci troviamo di fronte ad una “violenza di genere” ovvero connotata nel genere maschile nel senso che è commessa da un uomo verso una donna o una bambina.

La causa alla base di tale violenza è la discriminazione che nega alle donne, in ogni sfera della vita, di esercitare i propri diritti e le proprie libertà su una base di uguaglianza con gli uomini che porta quest’ultimi a prevaricare le donne costringendole ad una posizione subordinata rispetto a loro e a ritenerle un “possedimento”.

Questo tipo di violenza è presente a livello mondiale in qualsiasi società, indipendentemente dal grado di benessere, dalla razza, dalla cultura, dal grado di scolarizzazione e dalla religione. Le statistiche anche recenti riportano che almeno una donna su tre nella vita è stata picchiata, sottoposta a violenza o abusi sessuali

Solitamente questi abusi sono perpetrati da un familiare o da un conoscente.

In generale possiamo, proprio in ragione degli interventi normativi, distinguere la violenza in tre ambiti:

1. La violenza fisica. Questa è sicuramente la forma più evidente di violenza, la più dirompente, anche la più riconoscibile e, per questo, la più tutelata giuridicamente perché “provabile

2. La violenza psichica è più subdola, più difficile da riconoscere, fatta di tanti piccoli comportamenti che presi di per sé possono essere semplici critiche ma che col tempo minano l’autostima della persona, provocando non pochi danni, anche fisici. Recentemente la Dottrina e la Giurisprudenza hanno introdotto il termine “mobbing familiare” per queste ipotesi. E’ una violenza difficile da provare, è difficile da contenere e reagire (denigrazioni, insulti, privazioni della libertà, umiliazioni)

3. La violenza economica consiste nel far mancare il sostentamento (famiglia al freddo, controllo scontrini), non versare assegno di mantenimento. E’ la più sottostimata e pare strano chiamarla violenza ma se ci si pensa bene è gravissimo che una madre debba vivere di stenti e far vivere di stenti i propri figli perché il marito non versa il contributo previsto. E’ la più provabile, si possono attuare esecuzioni civili e condanne penali per ovviarla.

In Italia la violenza di genere è stata presa in considerazione solo molto recentemente ma, per fortuna, abbiamo una serie di Leggi che hanno riconosciuto il fenomeno e previsto strumenti importanti sia punitivi che preventivi.

Non v’è dubbio che questo tipo di violenza che si lega ad un rapporto interpersonale è la più crudele delle violenze venendo a minare un campo così delicato come è quello delle relazioni affettive in cui la fiducia, la complicità tra i soggetti è il fulcro dei rapporti; questa violenza è resa ancora più tragica per il fatto che, malgrado esistano leggi, articoli, pene, reati, culturalmente essa viene “tollerata” sia da chi la subisce ma anche da chi ne è spettatore.

Le donne stesse provano vergogna o timore di essere giudicate bugiarde o di subire ulteriori violenze per cui desistono dal denunciarla.

Questa situazione culturale non solo porta, in modo aberrante, a legittimare il soggetto violento e a paralizzare la vittima, ma rende anche difficile se non impossibile un reale monitoraggio della diffusione della violenza intrafamiliare (black number).

Le conseguenze della violenza sulle donne vanno ben oltre il danno fisico. Esse producono danni morali e psicologici che la donna si porterà dietro per sempre, che distruggono l’autostima della donna, arrivando ad inibire la capacità stessa di difendersi e di reagire; non solo, a lungo termine possono condurre la donna all’abuso di alcool, di droghe, a stati depressivi che possono giungere anche al suicidio.

Le conseguenze si ripercuotono anche su tutta la società, rendendola più povera da ogni punto di vista, economico, politico e culturale in quanto viene limitato il ruolo che le donne svolgono attivamente nello sviluppo della società ed aumentati i costi sanitari (crollo della produttività, perdita di reddito, costi sanitari).

Pensiamo poi alla violenza sui minori sia direttamente che assistita, ai danni che questa provoca, a come cresceranno questi bambini traumatizzati che credono che la violenza familiare sia la normalità della vita perché questo è l’ambiente in cui sono vissuti.

La violenza non termina i suoi effetti con la punizione del soggetto violento, ma necessita di interventi di sostegno alle vittime che si trovano a “ricucire i fili strappati”. Le donne vittime di violenza non devono sentirsi sole, non si devono vergognare, vanno ascoltate ed accompagnate. Ma altrettanto è necessario non sottovalutare l’attenzione ai soggetti maltrattanti che vanno recuperati con progetti mirati e concreti”.

Annnelise Filz

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