Volgere lo sguardo dentro di noi

In questo scritto volevo riassumere la mia visione di un anno che rimarrà nella storia.

Mai come in questo momento è stato ed è fondamentale portare lo sguardo dentro noi stessi. Io uso questa immagine nei processi di rilassamento, meditazione e Mindfulness. Portare lo sguardo dentro, anziché fuori, per entrare in contatto profondo con quello che siamo e stiamo provando. Rimanere con lo sguardo e il contatto solo o sopratutto verso l’esterno ci ha allontanato da noi stessi e di conseguenza dall’altro.

Stiamo ancora vivendo un periodo di estrema vulnerabilità , incertezza e paura. All’inizio di questa pandemia c’è stato un bisogno di speranza, di aggregazione anche se eravamo isolati nelle nostre case: si era creata una maggiore cooperazione per superare insieme la crisi.

Attualmente con le successive ondate di contagio l’isolamento è cresciuto. C’è un sentimento di angoscia e rassegnazione generalizzato non solo verso la possibile malattia ma anche per il risultato di una gestione discutibile che ha portato tante persone a perdere il lavoro o i propri cari . Ci si incontra per strada con sospetto, insicurezza, si evita perfino lo sguardo . Sono scomparsi i sorrisi da dietro le mascherine o il piacere del contatto. Ognuno pensa per se ed evita accuratamente l’altro.

Dopo il primo lockdown molte coppie si sono divise, sono aumentati i casi di violenza domestica e l’uso di psicofarmaci, l’isolamento forzato ha aumentato una solitudine che già esisteva nelle persone anziane e nei giovani. Questi ultimi, che prima andando a scuola, facendo sport o semplicemente trovandosi in piazza o sul famoso muretto, potevano godere di momenti di aggregazione, confronto e comunicazione ora, che sono relegati nelle proprie abitazioni vivono un isolamento sempre maggiore e con esso la dipendenza dai computer e dai telefonini. È’ aumentata la difficoltà a sentire e comunicare direttamente le proprie emozioni.

Ora vediamo per punti cosa è accaduto di fondamentale e come anche da una situazione di crisi possiamo trarre insegnamento ,difenderci ,crescere e sviluppare la resilienza, valorizzare la vulnerabilità per guarire le ferite , trovare risorse e nuovi sensi della vita.

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Ci ha fermato

Questo virus ha fermato il mondo , un modo di vivere troppo veloce, molto lontano dal ritmo psico fisiologico che l’umano dovrebbe avere. Si è inceppata la ruota del criceto che ora si trova spaesato, smarrito e impaurito. Prima tutto era scontato, con ritmi indirizzati al produrre, al raggiungimento di obiettivi, al mantenere schemi conosciuti e la propria comfort-zone. Questo stop , se lo rispettiamo e ne approfittiamo, ci insegna che possiamo dare importanza veramente all’ essenza, ad avere dei ritmi più lenti per osservare quello che ci circonda.

Ho sempre presente l’esempio della gita in montagna in cui possiamo fin dalla partenza pensare e focalizzarci solo all’obbiettivo , alla meta finale, oppure goderci momento per momento ogni passo, guardandoci attorno e scoprendo cose bellissime. Nel primo lockdown la natura è rifiorita , meno inquinamento, e non a caso ora abbiamo vissuto un inverno degno del suo nome, un inverno che non vedevamo da decenni. Molti animali sono comparsi nei parchi, nei boschi, perfino nei paesi, balene e capodogli sono stati avvistati nello Stretto di Messina e in altre zone inaspettate. Le acque dei canali di Venezia sono diventate trasparenti e l’energia della natura si è fatta sentire in tutta la sua potenza.

Ma sarà in grado l’uomo, finita questa pandemia, di non ritornare allo schema precedente? Fatto sta che per molte persone fortunatamente questa situazione è stata ed è motivo di cambiamento. Fermare il ritmo ci ha permesso di vedere e notare cose che prima non percepivamo neppure. Ci ha dato e ci dà la possibilità di accedere alla creatività, a nuove scoperte e passioni, ad ascoltare il silenzio , a dare importanza alle piccole cose anche nei gesti quotidiani. Durante il primo lockdown ho ritrovato bambini che giocavano per strada, ho conosciuto vicini di casa con cui prima ci si salutava appena, ho avuto il tempo di vedere crescere delle piante, ascoltare i canti degli uccelli, tutto mi sembrava più colorato ed energico.

Ci ha fatto entrare in contatto con la nostra solitudine

Spesso confondiamo la solitudine con l’isolamento. La solitudine fa parte dell’uomo, si nasce soli e si muore soli nel senso di ascolto profondo. C’è una solitudine creativa che è quella dei poeti, degli artisti, l’ascolto profondo dei mistici, una solitudine che ci porta a domande e ad una ricerca profonda su chi siamo, su quello che sentiamo e percepiamo che ci avvicina all’anima. In questa solitudine abbiamo bisogno dell’ altro, abbiamo bisogno del testimone, del confronto, dell’ascolto. Incontriamo la solitudine dell’altro che ci arricchisce nella sua diversità. L’isolamento invece è comunque essere lontani da se stessi e dall’ altro: è un’incapacità di accogliere quello che siamo, di ascoltarci, negandoci il vero incontro con l’altro fatto che è accompagnato spesso da una sofferenza profonda.

Ci stiamo assistendo continuamente e ora più che mai in questa falsa comunicazione attraverso gli smartphone e i computer : ci facciamo ipnotizzare e condizionare senza ascoltarci, ci creiamo spesso un’ immagine dell’altro senza conoscerlo veramente. Questi mezzi non siamo noi ad usarli come dovrebbe essere, sono loro che ci usano e ci isolano. Quante volte assistiamo a scene in cui, pur essendo in uno spazio comune, a tavola, in treno, in metropolitana, molti sono immersi nel loro cellulare completamenti isolati nel loro mondo, non ci si guarda, non ci si parla ma sopratutto ora non ci si tocca.

Il contatto è stato proibito dalla presenza e dalla contagiosità del virus. Ma qui sta il paradosso perché il contatto è fondamentale per preservare ed incrementare l’efficienza del nostro sistema immunitario. Il tocco può riportare la frequenza cardiaca ad un livello ottimale, ridurre la pressione sanguigna , tranquillizzare e rilassare attraverso il rilascio dell’ossitocina, aumenta la tolleranza al dolore, aumenta la crescita, migliora l’apprendimento e il desiderio sessuale. Quindi ancor di più in questo momento, almeno tra le persone care e vicine a noi, coccole, carezze ed abbracci ci curano favorendo un miglioramento del nostro sistema immunitario.

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Sono cadute le maschere

Sono cadute le maschere o per usare una frase di un mio cliente “ora è più difficile scappare da se stessi”. Le maschere sono importanti ma dobbiamo conoscerle per non farci usare dalla maschera che usiamo e capire quando la usiamo. In questa crisi molte maschere sono cadute, facendo emergere volti più veri nella sofferenza e nella paura. Forse per usare il concetto del filosofo Emmanuel Levinas ora abbiamo più possibilità di vedere la “nudità” del volto dell’altro nella sua vulnerabilità. Abbiamo l’occasione di mettere in crisi le convinzioni dove facciamo rientrare nel già noto o nelle nostre categorie di pensiero chi incontriamo. Inoltre abbiamo in questo senso anche la grande opportunità di guardarci dentro, dietro la maschera, di incontrare il nostro volto e la nostra vulnerabilità.

Molte persone hanno iniziato ad andare in terapia, hanno intrapreso un percorso spirituale, hanno iniziato ad ascoltare di più il proprio corpo. Questo momento, non a caso, ci da la possibilità nella crisi di fermarci .

Crisi, termine di origine greca significa ,scelgo, decido, separo. Abbiamo qui due strade da scegliere. Una strada, di solito più conosciuta e frequentata, che ci porta al lamento, a pensare ancora una volta alla sfortuna, al destino avverso, al crollo delle identificazioni con il ruolo che abbiamo, con il denaro che perdiamo, con gli schemi che portiamo avanti all’infinito che ci condizionano, mettendo i soliti filtri che distorcono la realtà. L’altra strada ci porta al cambiamento, ci porta ad avere la grande possibilità di vivere e valorizzare pienamente il presente , di dare un senso profondo alla nostra vita, alla vera essenza delle cose, ad una connessione con la natura che ci circonda e a cui apparteniamo, come affermavano gli antichi greci .

Ma questa strada è scomoda, molto scomoda perché cambiamento vuol dire cambiare punto di vista, vuol dire auto responsabilizzarsi e non dare ancora una volta la “colpa” all’esterno di tutto ciò che ci accade. Per dirla con le parole di Wilhem Reich : abbelliamo e lucidiamo la nostra gabbia dorata pur sapendo come sfuggirne. Ma uscire da questa gabbia è troppo scomodo perché lasceremmo un posto conosciuto per entrare in luoghi sconosciuti che ci fanno paura perché hanno a che vedere con l’incontrarci veramente. Significa guardarci realmente nello specchio anziché guardare dalla finestra facendo solo da spettatore. Significa poter incontrare le nostre ombre, il nostro demone, come Cristo nei quaranta giorni nel deserto. Satana possiamo vederlo semplicemente come il nostro demone interiore.

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Incontrare le ombre

Incontrare le ombre significa anche radicarsi, grounding, per usare un termine caro ad Alexander Lowen nella Analisi Bioenergetica. Mai come in questo momento di incertezza e paura il radicamento è fondamentale . Un albero con sane e profonde radici può affrontare forti tempeste come quella che stiamo vivendo. Radicarsi profondamente attraverso il nostro corpo cura la psiche e ci fa incontrare la nostra anima. Come affermava Socrate lo scopo della vita è la cura dell’ anima e la sua consacrazione alla virtù. Virtù consiste nel sapere che ci si contrappone all’ ignorare.

Questa strada scomoda ma rivoluzionaria, per usare le parole di Platone, ci dà la possibilità di uscire dalla caverna da lui descritta e in cui ci siamo addormentati, continuando a vedere sempre lo stesso schema proiettato, fatto di convinzioni e giudizi. Questa caverna attualmente ha un potere sottile fatto di smartphone, televisione, Facebook , whatsapp che di fatto aumentano l’isolamento. Grandi multinazionali che ti riempiono di acquisti, di medicine, di cibo, ti ipnotizzano e ti manipolano conducendoti come in un gregge di ubbidienti pecore e mantenendoti nell’ignoranza. Questa caverna fatta di una società iper-tecnologica ha il fine di raggiungere il massimo profitto nel minor tempo possibile, dove l’uomo è usato dalla tecnica e non viceversa. In questa caverna non incontriamo realmente l’altro ma si creano divisioni, secondo la regola del dividi et impera. Viviamo in una società dove il narcisismo la fa da padrone e dove ora non c’è una reale solidarietà e generosità ma il soddisfacimento degli interessi di ciascuno.

Si legge e si scrive sempre meno. A scuola non si fanno più i temi, come afferma Umberto Galimberti, non si coltiva più la creatività che fa scoprire i reali profondi talenti degli studenti, gli si impartiscono lezioni noiose fatte solo di nozioni.

Ecco quindi che questa crisi pandemica ci può dare la scossa per spiccare il volo come il gabbiano Jonathan Livingston , un libro attualissimo, per dare una svolta alla propria vita. Nel racconto il gabbiano Jonathan si separa dal gregge dei suoi “colleghi” gabbiani che hanno solo l’intento di mangiare nello stesso modo e negli stessi posti. Vola più in alto vedendo di più la realtà, si gode maggiormente il piacere del volo e delle sue scoperte. Rischia e rompe gli schemi affrontando il giudizio del gregge, che preferisce rimanere nell’ignoranza. Ignoranza vuol dire anche non pensare con la propria testa, non usare la propria coscienza e consapevolezza ma seguire la massa facendo diventare anche la nevrosi attuale normalità.

Paura della morte.

Questa pandemia ci ha ricordato la nostra finitezza, ci ha messo in contatto con la paura della morte propria e dei nostri cari. Spesso siamo abituati a difenderci dalla paura della morte rimuovendo, negando, allontanando la consapevolezza che abbiamo una fine.

Il momento che stiamo vivendo ce la mette davanti quotidianamente, a mio avviso anche esageratamente, con inutili terrorismi mediatici di bollettini di guerra che non portano a nulla se non ad aumentare lo stress e l’angoscia. Qui ancora una volta abbiamo la possibilità di scegliere una strada diversa dal subire passivamente l’angoscia che ne deriva.

Per usare le parole di Irvin Yalom “La vita e la morte sono interdipendenti: esistono simultaneamente e non consecutivamente. La morte dicevano gli stoici è l’evento più importante della vita. Imparare a vivere bene significa imparare a morire bene, e per contro , imparare a morire bene significa imparare a vivere bene, sono le due facce della stessa medaglia”.

Da alcuni anni sto approfondendo il tema della morte sia avendo personalmente subito lutti importanti, sia lavorando con clienti che a loro volta hanno subito ed elaborato lutti, sia con clienti oncologici che sono stati vicini alla morte e operatori sanitari che vivono e accompagnano quotidianamente le persone al loro trapasso. La morte ci insegna quanto veramente possiamo vivere e non sopravvivere, ci permette ancor di più di vivere la nostra vita intensamente dando priorità all’essenza.

Cito ancora Irvin Yalom “Il filosofo Heidegger esplorò la questione del come l’idea della morte possa salvare l’uomo e arrivò all’ intuizione importante, che la consapevolezza della nostra morte personale agisce come uno sprone per spostarci da una modalità dell’esistenza basata sull’oblio dell’essere a una superiore, basata sulla consapevolezza dell’essere” . Esistere in questa dimensione significa essere continuamente consapevoli dell’essere. Significa, come ho detto all’inizio, portare lo sguardo dentro anziché fuori per entrare in contatto profondo con quello che siamo e stiamo provando. Significa aver l’opportunità di uscire dalla caverna di Platone.

Ecco quindi per concludere che abbiamo una grande occasione di cambiamento e resilienza in questa crisi che stiamo vivendo. Alla base della resilienza c’è la forza della vulnerabilità che ci permette di trovare la strada per una auto guarigione o per usare le parole di Carl Rogers “ ritrovare le innate capacità di autoregolazione e autorealizzazione che sono dentro di noi”.

Gilberto Ferro- psicologo , specializzato in analisi bioenergetica, presso la SIAB Società Italiana di Analisi Bioenergetica di Roma, in Psicologia Rogersiana presso lo IACP Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona di Carl Rogers a Roma e in Psicoterapia Organismica con Malcom Brown (USA) .