FORME DEL MUTAMENTO : la mostra di Lilith all’Opificio delle Idee
inaugurazione il 28 ottobre ore 17:00
Questa mostra raccoglie varie fasi della pittura di Francesca Miceli in arte Lilith. I curatori sono gli architetti Filippo Ferro e Livia Sassudelli che hanno diviso le opere per macro periodi: il periodo geometrico, quello informale molto colorato, quello della pittura danzata con i piedi, quella che l’artista ha chiamato ARTE ADOSSO, trasferita sui vestiti, sulle maglie, sugli arazzi, su vari materiali e quella Digitale.
Geometrie formali
Francesca Miceli ha ricominciato a dipingere nel 1990, dopo anni dediti alla carriera. Si è risvegliata da un lungo sonno, sia vero che metaforico, con il desiderio impellente di dedicarsi solo alla sua arte, alla danza e alla pittura, coltivata in adolescenza e abbandonata per il lavoro molto impegnativo che aveva scelto.
La sua prima fase artistica era piuttosto geometrica e formale, ispirata a Kandinsky inizialmente ma poi anche a Klimt, per l’utilizzo dell’oro e per il sorgere di figure antropomorfe che si univano alle parti più geometriche, ricche di particolari. Di questo periodo non rimangono molti quadri perché piuttosto richiesti. Erano una vera e propria meditazione in un periodo di grandi cambiamenti esistenziali.
Alcune Critiche
Così descrive questo periodo il professor Cossali in occasione della mostra “PERCORSI INTERIORI” del 1995
“La pittura di Francesca Miceli si abbevera a diverse fonti delle quali la più importante, la più feconda sembra essere quella del mito.
Non tanto nel senso della favola che spiega il mondo, non tanto nel senso dei simboli e delle figure che riescono a interpretare ciò che ci appare come mistero, quanto piuttosto nella corrispondenza dei linguaggi.
Francesca Miceli entra, si fa per dire, nella realtà con un abito mentale, con una dimensione fisica, con un linguaggio che possono essere definiti solo attraverso la chiave del mito.
Figura nuova che profuma d’antico, colori intensi, che vogliono rappresentare sempre una visione cosmica, segno del soggetto che avverte la stessa composizione come flusso o ancora meglio come partecipazione al flusso generale dell’universo.
Il mito insomma come cifra del flusso esistenziale, geofisico, biologico, nel quale il singolo non si perde come granello di polvere, ma si ritrova come parte del tutto.
La pittura di Francesca Miceli si avvale di colori e di oggetti, sempre, in ogni caso, per costruire figure di senso che sappiano portare allo sguardo quel rapporto tra particolare e universale che solo riesce a dare giustificazione della nostra esistenza.
Non è un caso che in Francesca Miceli, nella sua vita, la pittura si accompagna alla danza e alla poesia, in una ricerca ritmica di questo rapporto, in una ricerca di connessione fisica con il mondo.
Ci troviamo di fronte ad una pittura felice, perché impegnata più che a decifrare, a dare conto vivo di una esperienza vitale, quasi prolungandola senza fine di quadro in quadro, in un ciclo di immagini che ritorna su se stesso sempre diverso, ma senza perdere niente nel viaggio.
E questo è quanto scrive Renata Mariotti, docente di arte, per la stessa mostra.
“Se nella sua prima produzione l’intento era più di tipo estetico, legato a schemi decorativi controllati e raffinati, nell’ultima fase c’è un calarsi dentro le forme e colori che guidano l’artista esortandola a lasciar fluire la corrente sotterranea. Ne risulta un mondo ricco di elementi che avendo vita propria (e dentro questa il loro naturale sviluppo) trovano ritmi autoctoni simili a quelli della danza, quando il corpo si abbandona assecondando movimenti spontanei, liquidi.
L’acqua e la cellula che rimandano al concetto di nascita e crescita, gli accordi cromatici sempre armonici, la danza ricorrono costantemente caratterizzando opere che sembrano seguire filoni divergenti: quello più legato alla geometria in cui c’è un’attenta ricerca sul gioco delle parti, la composizione, l’equilibrio, e quello più legato al libero fluire. Non c’è frattura quindi tra questi due opposti ma confronto dialettico che rende più stimolante e irrinunciabile la creazione.
Quella di Francesca è poi una poliedrica espressività che, oltre a farla danzare e insegnare danza, le fa comporre racconti e poesie. Anche qui un cammino in continua evoluzione che le ha permesso di sganciarsi da una trascorsa fase permeata da un’esposizione formale più barocca per arrivare a parlare con più calore e semplicità di temi universali come l’amore e la natura: un’operazione che potremmo definire di “ecologia del sentimento”.
A quest’artista auguro di continuare ad entrare in profondo contatto con se stessa e di saper dar voce con sempre maggior sensibilità alle proprie “vibrazioni”.
La Gravidanza e la pittura informale
Nel 1996 la pittura su tela di Francesca Miceli ha avuto una decisiva svolta nel colore abbandonando completamente la geometria. Sulla tela, sul cartone, sul legno, il colore fluiva libero, senza soluzione di continuità, lasciando spazio all’interpretazione dello spettatore.
Francesca si poneva di fronte alla tela per comprendere cosa volesse dire quello che aveva dipinto, talvolta intravedeva messaggi interiori, emozioni sue o di qualcuno che aveva incontrato, talvolta malesseri che filtrava dal collettivo, talvolta altro che tuttora non ha risposte razionali.
Era in gravidanza e molti dei nuovi quadri rappresentavano proprio il sorgere del colore nello sviluppo del feto, cosa che avrebbe scoperto solo nel 2000 grazie ad Aura-Soma e agli studi di anatomia specifici di questa metodologia di ricerca, per cui ad ogni colore corrisponde un foglietto embrionale.
In questo periodo la parte più geometrica e piena di particolari si è trasferita sul tessuto, su magliette, abiti, tutto quello che le capitava sotto mano e che poteva interpretare con il pennello.
Il dipingere su tessuto è diventata la sua meditazione, tappa obbligata per dipingere meno con le mani nude, mezzo che ama moltissimo ma che in gravidanza ha cercato di fare meno.
Quando abbiamo chiesto a Francesca per la locandina di “Forme del mutamento” un quadro che avesse rappresentato una svolta nella sua pittura tra quelli che ci ha sottoposto abbiamo scelto “ Cellule” perché in quel periodo aveva appena conosciuto Aura-Soma e l’archetipo Lilith era comparso misteriosamente sul quadro.
Aura-Soma ha permesso all’artista di comprendere molto di più ciò che dipingeva, permettendole di “interpretare “ meglio ciò che vedeva apparire nelle opere. Non ha modificato il suo modo di dipingere ma le ha dato maggiore consapevolezza circa le possibilità comunicative del colore come linguaggio universale.
Questa fase in un certo senso non si è mai interrotta, ma è andata affinandosi conducendola lentamente verso spazi sempre più liberi e fecondi.
Trovate in mostra molte opere di questo periodo che ha utilizzato anche come fondali per alcuni dei suoi spettacoli multimediali in teatro, trasformandoli al ritmo della musica assecondando i movimenti delle danzatrici , studiando delle apposite coreografie.
Dipingere danzando
Un sogno che Lilith aveva da molto tempo, quello di dipingere danzando, ed ecco che il 2020 le ha portato la sua realizzazione. Pensava di aver iniziato a dipingere per scacciare il malessere, per danzare sul mondo, oltre la paura, che è anche il titolo della prima di queste grandi opere, ma si è resa conto che questo mettere i piedi, quando possibile nudi, nel colore era qualcosa che profumava di antico, di riti che in qualche modo le ricordavano gli aborigeni, che considera i coralli del mondo, un po’ l’ossatura dell’umanità.
Deve il suo nome d’arte ad un libro dal titolo “E venne chiamata due cuori” che narra dell’esperienza di Marlo Morgan , l’autrice, tra gli aborigeni australiani. Lo stava leggendo quando una sua allieva di astrologia esperienziale le chiese di presentare una lezione sulla Lilith, come Luna Nera. A quei tempi non la aveva mai valutata per le sue ricerche ma la portò misteriosamente a firmarsi così in un quadro del 2000.
Non capiva come mai, ma in quel libro l’autrice raccontava di come gli aborigeni abbiano nomi che scelgono e cambiano quando vogliono lavorare a qualcosa nella propria vita: cioè una donna può essere “colei che accende il fuoco”, e poi decidere di essere “colei che porta l’acqua” e occuparsi appunto di quello.
Così ha pensato di chiamarsi Lilith per un po’, già che era comparsa così nella sua pittura. Non crede di aver esaurito quel compito, perché naturalmente è una ricerca piuttosto complessa, ma si palesa in questi quadri danzati.
La prima opera “ Danzando sul mondo oltre la paura” in particolare è stata ben interpretata da Caterina De Dominicis che così ne ha parlato la prima volta che è stata esposta al pubblico sempre nel 2020.
“Questa opera dà circolarità, dà proiezioni altrove, da rossi potenti che potrebbero essere il sangue della Guerra, che potrebbero essere di magnifici tramonti sopra le nostre montagne, sopra le Dolomiti, che sembrano assorbirci e proiettarci verso l’alto. Ma in questa circolarità che si intreccia, c’è la vita , c’è la storia, c’è anche il cielo, c’è anche il passato, ci sono anche i nostri avi, che pur in trasparenza si intravedono che hanno costruito, creato e lavorato il nostro vivere nei secoli. E se voi rimanete qui un po’ sentite una forza che proviene dall’opera e che ci/vi travolge nella circolarità dell’universo”
L’arte addosso
L’artista ha iniziato a dipingere su tessuto nel 1996, durante la gravidanza. Inizialmente per evitare di intossicare il figlio con il colore ad olio, poi perché la rilassava incredibilmente. Poteva stare lì delle ore semplicemente a ricamare con il pennello. Motivi diversi : i totem, le dee, le collane e tanti altri “soggetti”, tutti sempre e rigorosamente UNICI. Prima solo magliette, poi abiti, sciarpe e tutto ciò che le capitava tra le mani. Comprava gli abiti in negozio e poi li personalizzava: l’ ha chiamata ARTE ADDOSSO. Poi ha iniziato a studiare dei modelli da cucire e dipingere e infine con il sorgere della stampa digitale ha fatto stampare su diversi tessuti alcuni quadri per creare modelli diversi , coronando un altro sogno: vedere i propri quadri addosso alle donne.
Ama molto che il colore illumini i corpi, li rispecchi e li illumini, che porti alle donne allegria e gioia.
Non paga ha sviluppato insieme a delle artigiane borse, borsoni, borsette, porta-cellulari, abbinando ai suoi quadri diversi materiali. Ha realizzato anche coperte e arazzi ed ha in serbo altre sorprese : idee che le sono balenate in testa durante l’allestimento di questa mostra.
Digital art
Nel 2020 ha cominciato anche a creare opere digitali , alcune delle quali ha fatto poi stampare su alluminio e su tessuto.
E’ un mezzo complesso di comunicazione perché necessita poi di essere mostrato su supporti diversi rispetto a quello con cui viene creato. Si è decisamente divertita molto a trasformare lo schermo piatto in qualcosa che prendesse vita: ha fatto oltre 100 opere. Nella mostra ne vedete 9.
“Passione” a Progetto Tango
Per Festeggiare il decennale di Armonia anche Progetto Tango ospita alcune opere di Lilith con un ‘esposizione intitolata Passione.